[77] Mauro Nervi

 

Italiano (1959- ), medico chirurgo di formazione, studioso di letteratura, esperantista dal 1975, è stato premiato in numerosi concorsi letterari. Da ricordare almeno l’opera giovanile La turoj de l’ ĉefurbo {“Le torri della capitale”} (poemi, racconti e drammi originali del 1978); per ulteriori notizie si può consultare http://en.wikipedia.org/wiki/Mauro_Nervi. Riportiamo di sèguito un suo tributo a K. Kalocsay, cui abbiamo già dedicato un breve profilo.

Al Kalocsay

 Kaj tamen mi relegas la poemojn
de via juno, Kalocsay, kaj pensas,
ke laŭkutime bone vi kompensas
la cˆagreneton legi. Lipotremojn

abunde vi disdonas; molajn ĝemojn
romantikulajn vi troige lensas.
Kaj tamen mi relegas la poemojn
de via juno, Kalocsay, kaj pensas.

La pioniroj raŭkas: “Kiajn ĝemojn!”
kaj tra la spino longan tremon sensas;
sed stultaj la
ŭdoj, kiuj vane densas,
stimulas nur la junajn malŝatemojn. 

Kaj tamen! Mi relegas la poemojn.

A Kalocsay

E tuttavia rileggo i poemi
della tua giovinezza, Kalocsay, e penso
che bene al solito ripaghi
il lieve disturbo di leggere. Tremori di labbra

distribuisci in abbondanza; molli gemiti
romantici metti eccessivamente a fuoco.
E tuttavia rileggo i poemi
della tua giovinezza, Kalocsay, e penso.

I pionieri con voce roca: "Che gemiti!"
e lungo la schiena avvertono un lungo tremito;
ma le lodi stolte che vane si addensano
stimolano solo i giovani detrattori. 

E tuttavia! Rileggo i poemi.

Mauro Nervi è presidente della “Akademio Literatura de Esperanto” {Accademia Letteraria di Esperanto} (da non confondersi con l’Accademia di esperanto), che nasce come trasformazione della EVA (Associazione degli Scrittori Esperantisti); il suo ruolo nel movimento esperantista è presentato in un’intervista (sul tema “Esperanto e letteratura”) da lui rilasciata recentemente a Massimo Ripani per il notiziario in rete Disvastigo:

 Massimo Ripani: Ci può spiegare il valore della letteratura nella cultura esperantista?

Mauro Nervi: Dal 24 luglio 2008, l’EVA non esiste più, e dopo un plebiscito pressoché unanime si è trasformata nella Akademio Literatura de Esperanto. In questo modo abbiamo voluto sottolineare che per l'Esperanto la letteratura non è solo una occupazione laterale di alcuni suoi aderenti (come la passione per i gatti, per gli scacchi o per le biciclette), ma appartiene agli aspetti fondativi del movimento stesso: non va dimenticato infatti che Zamenhof ha creato la lingua *per mezzo* della letteratura, come documentano gli stadi precedenti all'Unua Libro. Del praesperanto, in effetti, possiedamo solo un frammento in poesia ("Jam temp' està"). Per questo motivo, chi all'interno del movimento esperantista si occupa di letteratura – come scrittore, editore, critico, storico – doveva trovare qualcosa di più di una semplice fakasocio [associazione di settore]; con l'Akademio abbiamo cominciato a creare un *luogo* culturale moderno, radicato soprattutto nella rete e quindi in grado di funzionare tutti i giorni, grazie al quale è possibile parlare di letteratura, filologia esperantista, teoria della letteratura, e anche pubblicare online la propria produzione. Naturalmente tutto questo non può realizzarsi in breve tempo: non mi stanco di dire che il prestigio di una istituzione si crea con i decenni. Tuttavia abbiamo posto i fondamenti di qualcosa che, con l'impegno di tutti, potrà durare nel tempo.

MR: La letteratura in esperanto: ci spiega il ruolo delle "scuole" di riferimento?

MN: Le scuole letterarie in esperanto sono oggi un fenomeno meno riconoscibile che in passato, anche per l'aumento vertiginoso delle possibilità di comunicazione offerte dalla rete. Esistono singoli autori come Camacho, la cui cerchia di amici-scrittori ha indotto qualcuno a parlare di "ibera skolo": ma a differenza delle scuole del passato, quale ad esempio l'ungherese, non è riconoscibile un'unità tematica o stilistica, e ciò che conta è soprattutto la singola individualità artistica. Ci avviamo a vivere in un mondo infinitamente più complesso e intercorrelato di quello in cui vivevano Kalocsay e Waringhien.

MR: Cosa vuol dire scrivere in esperanto oggi?

MN: Scrivere in esperanto significa oggi in primo luogo sfuggire a un doppio ghetto: quello della propria lingua nazionale, quando questa – come per l'italiano – non sia di area anglosassone, e quello dell'inglese, ormai appiattito e privato delle originali connotazioni semantiche quando viene utilizzato a livello planetario. Siginifica inoltre scrivere per un pubblico che oltre ad essere piuttosto vasto (spece se raggiunto attraverso la rete) è soprattutto sparso su tutto il pianeta, il che consente di incrociare la propria esperienza letteraria, inevitabilmente cresciuta su un retroterra nazionale, con quella internazionale dei propri lettori, sul piano comune ed egualitario di una lingua che tutti i parlanti riconoscono come *propria*.

MR: La letteratura  è soltanto svago oppure può anche avere valore sociale?  Sto pensando per esempio ai libri di denuncia.

MN: La letteratura, in esperanto o in qualunque lingua, non è mai veramente "svago", neppure quando si definisce tale da sé. Nel caso poi dell'esperanto, le motivazioni umanistiche che costituivano per Zamenhof la "interna ideo" dell'Esperanto fanno sì che praticamente tutti i maggiori poeti e prosatori della nostra letteratura si siano posti con forza il problema sociale, da Kalocsay e Baghy fino a Auld e, infine, Ragnarsson e Camacho. Il vantaggio dell'Esperanto è che scrivere in questa lingua consente di evitare la contraddizione fra una denuncia sociale e l'invasività linguistica di una lingua nazionale, magari portatrice di interessi economici forti, che sia usata per quella denuncia stessa. L'Esperanto è una lingua senza potere, e questa è, paradossalmente, la sua forza. Decidere di scrivere in Esperanto è di per sé un atto di denuncia, contro l'ammutolimento della debolezza operato dalle grandi lingue nazionali; è inevitabile che anche le tematiche della nostra letteratura siano attente alla minorità culturale, e ai modi in cui essa può venire superata.

L'immagine di apertura è da http://www.uea.org/dokumentoj/komunikoj/gk.php?no=403.


Koniĝas majstro laŭ sia verko [1154] “Il maestro si riconosce dalla sua opera”.






 

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