[43] Planita / artefarita

 
La questione più spinosa che normalmente sottende l’esperanto, e che più spesso è alla base del pregiudizio, ossia la determinazione di quanto una lingua pianificata possa essere considerata lingua a tutti gli effetti, trova occasione particolare di riflessione nell’approfondimento del rapporto fra i concetti di ‘storico-naturale’ e ‘pianificato’ ben riassunto da Bruno Migliorini che, accanto alla Presidenza dell’Accademia della Crusca dal 1949 al 1963, nutrì interessi interlinguistici tali da redigere un manuale, nella cui premessa si leggono le seguenti “caute parole”, come le definisce De Mauro nell’introduzione alla riedizione di B. Migliorini, Manuale di Esperanto, Milano 1995, che così prosegue la valutazione delle parole del collega: “Con tono dimesso, con un vocabolario terra terra, come sarebbe piaciuto a Wittgenstein, e un filo di ironico ottimismo verso i suoi colleghi (vorremmo fosse vero anche oggi quel “non v’è più nessuno che non veda”), Migliorini pone il problema del rapporto tra naturalità e convenzionalità nella vita di ogni lingua e quello della continuità tra lingue storiche e lingue, per dir così, ‘soprastoriche’ o, come anche si dice, ‘transglottiche’”.

L’uomo per sua natura cammina coi piedi, come sapeva anche M. de la Palisse; e natura dei piedi è di rovinarsi all’attrito coi sassi. Fra queste due tendenze del pari “naturali”, la soluzione più semplice che si sia trovata fin qui per camminare sui sassi è quella di mettersi le scarpe. Orbene, terribile a dirsi, le scarpe sono una invenzione “artificiale”. E artificiali sono le strade e i ponti e i treni (...) - artificiale è, sì, quasi tutta la nostra civiltà. Si obietta che la lingua, invece, non può essere artificiale (...). In gran parte questa obiezione su null’altro si fonda che sulla troppo ristretta concezione della lingua che i Romantici ebbero e misero di moda: (...) vera lingua era solo la lingua popolare. Ma ora [scriveva l’allievo di Ceci e di De Lollis] non v’è più nessuno che neghi il valore di quel che in una parola si può dir la “cultura”. (...) Non v’è dialetto popolare che non abbia risentito della lingua letteraria, non v’è, soprattutto, lingua letteraria e culturale che non abbia svolto “artificialmente” i suoi mezzi espressivi. Orbene: le lingue artificiali meglio costruite sono soltanto un po’ più artificiali delle nostre lingue culturali.

 
Nell’invero contrastato rapporto fra Accademia ed esperanto, la lingua di Zamenhof ha guadagnato non solo critiche ma anche apprezzamenti e più o meno dirette prese di posizione sulla sua dignità di lingua tout court: dall’appena sopra citato Tullio De Mauro, che nella parte conclusiva della suddetta introduzione così prende posizione sull’esperanto e il suo valore come lingua transetnica e politically correct:

Per la duttilità, per la “affabilità” verificata largamente in un secolo e per l’ormai avvenuto passaggio dalla fase di lingua progettata a quella di lingua stricto sensu, cioè effettivamente usata da centinaia di migliaia di locutori sparsi in tutto il mondo (su questi e altri caratteri si è fermata l’analisi di una mia valente allieva, Silvia Lacquaniti, Lingue pianificate ed Esperanto, pref. di R. Corsetti, Roma 1994), l’Esperanto vede schiudersi oggi prospettive concrete d’uso: il nostro mondo vive ormai, per motivi economico-produttivi, demografici, sociopolitici, profonde e inedite esperienze di interdipendenza tra popoli di diversa nazionalità e lingua e di compresenza di diverse culture.

Una comune lingua senza base etnica definita può essere (come già è tra gli esperantisti) una chiave facilitante, transglottica, dei sempre più necessari rapporti tra culture. E, in molti casi (redazione di testi e codificazioni di rilievo internazionale), potrebbe assumere una importante funzione di riferimento giuridicamente primario e nazionalmente neutro. Si pensi [almeno] alla complessa esperienza in atto nell’Unione Europea.

 
a Umberto Eco, che nel suo La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza: Roma-Bari 1993, nel cap. 16. “Le lingue internazionali ausiliarie” [= LIA], pp. 358-60, presenta senza pregiudizi, in modo compiuto, informato, preciso e ben dettagliato – e con neppur troppo malcelato favore – l’esperanto, e ne dibatte con oggettività e scientificità, aprendo anche alla possibilità, a sèguito di una volontà politica, di diffusione di una lingua internazionale ausiliaria:

Pertanto se a una decisione politica si accompagnasse una campagna pianificata dei media, la LIA prescelta potrebbe facilmente diffondersi […] Se questa decisione politica non c’è stata finora, ed è apparsa difficilissima da sollecitare, questo non vuol dire che essa non possa essere presa in futuro […] Se la tendenza all’unificazione europea va di pari passo con la tendenza alla moltiplicazione delle lingue, l’unica soluzione possibile sta nella adozione piena di una lingua europea veicolare. Tra tutte le obiezioni, rimane ancora valida quella già formulata da Fontanelle, ed echeggiata da d’Alembert nel discorso introduttivo all’Encyclopédie, circa l’egoismo dei governi, che non si sono mai distinti nell’individuare ciò che era buono per la società umana nel suo complesso.

 
a Francesco Sabatini, che, in un’intervista di qualche anno fa (“L’esperanto può cambiare l’informatica?”, Punto Informatico a. X n. 2423, 15 nov. 2005), l’ha proposta ultimamente come possibile lingua ufficiale dell’informatica, all’interno di una riflessione più ampia sulla situazione contemporanea della lingua italiana.

Ma ancora, in una breve carrellata retrospettica, da segnalare è la pagina di Antoine Meillet, caposcuola della glottologia francese del primo Novecento, che (in Les langues dans l’Europe nouvelle, Paris 19282, p. 268) affermò che “toute discussion théorique est vaine: l’Esperanto fonctionne” (forse anche, chissà, indirettamente sollecitato dal Maestro Ferdinand De Saussure, nel cui Cours la lingua di Zamenhof è citata due volte ai ff. 111 e 228 in una forma di riconoscimento indiretto che la equipara ad altre lingue nazionali) o ancora nelle parole di André Martinet, la cui positiva valutazione emerge dalla dichiarazione prodotta all’UNESCO il 16 dicembre 1986:

Bien que marqué par les langues européennes dans son vocabulaire, l’espéranto est une langue qui fonctionne bien; d’une grande simplicité, il a gagné le droit à être la langue auxiliaire du monde entier.


Sul tema, si segnala a riguardo almeno il recente D. Astori, “Saussure e il dibattito (inter)linguistico sulle lingue internazionali ausiliarie a cavallo fra XIX e XX secolo”, in Atti del Sodalizio Glottologico Milanese Vol. III n.s. (2010 [2008]), pp. 102-120, dove si ripercorre il dibattito sulle lingue pianificate e la ricezione del problema in ambito anche accademico.
 

Falsi amici! Non confondete lingvo con lango! Quest’ultimo è termine anatomico… e antaŭ la lango laboru la cerbo [107] “prima della lingua lavori il cervello”! 

 

Federazione Esperantista Italiana

http://www.esperanto.it

Città di Mazara del Vallo

http://www.comune.mazaradelvallo.tp.it

Altro sito

http://