[33] Frato

 
Per meglio illustrare la visione zamenhofiana, riprendiamo un ulteriore passo del Discorso programmatico [> 13].

Kaj nun la unuan fojon la revo de miljaroj komencas realiĝi. En la malgrandan urbon de la franca marbordo kunvenis homoj el la plej diversaj landoj kaj nacioj, kaj ili renkontas sin reciproke ne mute kaj surde, sed ili komprenas unu la alian, ili parolas unu kun la alia kiel fratoj, kiel membroj de unu nacio.

E ora, per la prima volta, il sogno di millenni comincia a realizzarsi. Nella piccola città della costa francese sono convenuti uomini delle più diverse terre e nazioni; ed essi si incontrano non come muti e sordi, ma si comprendono l’uno con l’altro, si parlano l’uno con l’altro come fratelli, come membri di una sola nazione.


Verrà un tempo, dice Zamenhof, in cui la lingua perderà il suo carattere ideale in conseguenza della sua diffusione su scala mondiale. Ma frattanto la forza motrice dell’esperantismo rimane “l’idea santa, grandiosa e capitale contenuta nella lingua internazionale ... fratellanza e giustizia fra tutti i popoli”. Non si può proprio dire che Zamenhof abbia dedicato la migliore parte della sua vita per profitto materiale. “Spesso è accaduto che persone inchiodate al loro letto di morte mi hanno scritto che l’Esperanto restava l’unica loro consolazione nella vita che stava spegnendosi. Forse che que­sti stavano pensando a qualche utilità pratica? No, certamente no, tutti ricordavano l’idea interna insita nell’esperantismo; tutti ricorda­vano l’Esperanto non perché esso avvicini reciprocamente gli uomi­ni fisicamente e neppure perché avvicini i loro cervelli, ma soltanto perché esso avvicina i loro cuori” (Originala Verkaro de L.L. Zamenhof, ed. J. Dietterle, Hirt & Sohn, Leipzig 1929: 373). Cosa direbbe Zamenhof, se sapesse a quale grado di disponibilità molti esperantisti portarono la loro dedizione all’ideale internazionale, in carceri e in campi di concentramento, trenta anni più tardi!

Le dichiarazioni di Boulogne e di Ginevra (per quest’ultimo discorso vedi l’esperanto in http://www.steloj.de/esperanto/paroloj/kongr2a.html e l’italiano, tradotto da C. E. Belluco, in C. Minnaja, Lazzaro Ludovico Zamenhof. Antologia, Fondazione Esperantista Italiana, Milano 2009: 208-215) sulla neutralità dell’esperantismo hanno preservato il movimento da influenze di ideologie esterne, ma non hanno ridotto al silenzio il proprio speci­fico messaggio. Zamenhof ispirò uno speciale soffio idealistico nel movimento, perché mise in evidenza il potenziale evolutivo e progressista contenuto nella lingua internazionale, in base alla sua profonda visione internazionalistica. Egli presentò l’esperanto come un fattore nuovo e decisivo nella trasformazione del mondo verso un migliore ordine sociale. Perciò chiamò gli uomini alla collabora­zione e allo sforzo di avanzamento. In questo modo l’apprendimen­to e l’uso dell’esperanto eleva la consapevolezza sociale dei singoli e dei gruppi e li unisce sulla base del solo concetto di umanità. L’esperanto dunque si rivolge alle più nobili aspirazioni dell’uomo e le mobilita. Nello stesso tempo fornisce una concreta soddisfazione nel fatto che ogni persona, apprendendolo, acquista coscienza del suo personale contributo al progresso dell’umanità. Riassumendo, esso è capace di dare un motivo saldo per vivere e per agire agli individui sufficientemente evoluti, aiutandoli a guardare più lontano dell’immediato egoistico orizzonte.

L’intera storia dell’esperanto è intessuta di una lunga serie di esempi eroici di disponibilità e di dedizione. Cosi come i grandi ideali politici e religiosi, la interna ideo (“idea interna”) può elevare l’uomo, sollecitare le sue tendenze altruistiche e dirigerle concretamente verso la realizzazione di un ideale sociale. Ancora nel 1907, in occasione del Congresso generale in Cambridge, Zamenhof ripeteva che quell’ideale è di fratellanza e di libertà e che i congressi di esperanto costituiscono quasi un archetipo dell’ordine mondiale da raggiungere. Ogni attività per l’esperanto si basa sulla certezza che gli esperantisti lavorano non per scopi personali ma per tutti. “Per che cosa infine” domanda Zamenhof “noi ci riuniamo? Forse per trattare problemi linguistici?, forse per esercitarci nella conversazione?, forse per fare propaganda? Si certamente! Ma poiché di 100 congressisti almeno novantanove hanno dall’Esperanto soltanto una soddisfazione morale, per che cosa dunque noi lo propagandiamo? Non dubito che la maggior parte di voi darà una sola risposta: noi facciamo manifestazione e propaganda per l’esperantismo non allo scopo di qualche utilità, che ciascuno di noi potrebbe riceverne, ma in relazione a quel fondamentale significato che l’esperantismo ha per l’intera umani­tà, ... come gli antichi ebrei tre volte all’anno si riunivano in Gerusalemme per rafforzarsi nell’amore all’idea monoteista, così noi ogni anno ci riuniamo nella capitale del paese di Esperanto (Esperantujo) [> 59], per rafforzare in noi l’amore all’idea dell’esperantismo. E questo è l'essenza principale e lo scopo prioritario dei nostri congressi” (Originala Verkaro, 377).

L'essere esperantista non dipende dallo scopo per il quale si usa l’esperanto. Tuttavia chi desidera partecipare ad un con­gresso o aderire a una istituzione “che porta la bandiera verde” e cioè che incorpora la vera idea dell’esperanto, deve tralasciare ogni atteggiamento privato di natura politica, religiosa o sociale e conformarsi all’idea interna. “Lì paese dell’Esperanto è retto non soltanto dalla lingua esperanto ma anche dalla idea interna dell’esperantismo; ... la regola degli esperantisti idealisti è: inten­diamo creare un fondamento neutrale sul quale i diversi gruppi umani possano pacificamente e fraternamente mettersi in comuni­cazione fra loro senza imporre le rispettive particolari tradizioni” (Originala Verkaro, 378-9). Zamenhof dunque implicitamente di­stingue, tra la generalità degli esperantisti, quelli utilitaristi da quelli idealisti che costituiscono Esperantujo (la casa dell’esperanto). Questi sono i germogli consapevoli dell’ordine sociale che sarà fondato sulla fraternità, la giustizia, la libertà; facilmente si com­prende che “la idea interna” e “l’umanitarismo” si radicano sullo stesso terreno. Benché i congressi e le istituzioni di esperanto da tempo siano orientati verso una posizione pratica utilitaria, tuttavia gli stessi esperantisti nella loro maggior parte sentono di formare, di generazione in generazione e di paese in paese, una vasta comunità consapevole della sua fondamentale unità, il popolo esperantista, come Zamenhof lo ha definito.
[da: A. Di Fazio, F. Maurelli, “Esperanto”,  lavoro multimediale].

La fratellanza è il fine ultimo del sogno esperantista, fratellanza che qualcuno ha ravvisato di matrice liberomuratoria. Per chi volesse saperne di più, si veda D. Astori, “Comunicazione internazionale e libero pensiero: Esperanto tra pianificazione linguistica e religiosa/Internacia komunikado kaj libera penso: Esperanto inter lingvistika kaj religia planado”, in Inkoj Vol. 1, n. 2 (2010), Language construction and policies/Lingvokonstruado kaj longvopolitikoj, pp. 154-193, o ancora – però in lingua esperanto – D. Astori, “Esperanto kaj framasonismo”, in Homarane 1 (2010), pp. 185-191.


A volte i fratelli possono essere delle armi a doppio taglio: il proverbio di oggi recita infatti che Bato de frato estas sen kompato [155] “La battuta del fratello è senza pietà” (o, con il suo parallelo italiano, “fratelli coltelli”).

 

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