[68] Ido

 
Come nella storia di qualunque movimento, fratture e discordie non furono poche nemmeno all’interno dell’esperantismo. In particolare, proprio a sèguito della presentazione dei Dogmoj (“dogmi” dell’Homaranismo) si ebbero forti reazioni: Padre A. Dombrowski accusò Zamenhof dell’errore di preporre Hillel a Gesù, innestando una forte polemica, a sua volta ripresa da Louis de Beaufront, e in difesa invece da T. Scavinski, che si diede fra le cause primarie della crisi idista del 1907.

Quando l’esperanto stava cominciando ad acquisire un certo numero di praticanti e di sostenitori, l’idea di una lingua internazionale iniziava ad essere discussa in ambienti accademici. Oltre al Volapűk, che aveva avuto una certa, sia pur limitata, diffusione, decine di progetti si erano affacciati all’orizzonte, quasi tutti rimasti sulla carta; nel 1901, quindi ancora prima del congresso di Boulogne-sur-Mer, due linguisti francesi, Louis Couturat e Léopold Leau, fondarono una Delegazione per l’adozione di una lingua internazionale che raccolse adesioni da un certo numero di linguisti e in prima battuta si rivolse all’Associazione Internazionale delle Accademie perché formulasse una proposta in questo senso; quando l’Associazione si dichiarò incompetente, la Delegazione nominò nel 1907 un Comitato di 12 linguisti per arrivare a delle conclusioni. Il Comitato propose a tutti gli ideatori di lingue artificiali di presentare i propri progetti; Zamenhof, pure invitato, si fece rappresentare da uno dei più eminenti (probabilmente il primo in ordine di tempo) esperantisti francesi, il marchese Louis de Beaufront, che già nel 1898 aveva fondato la Société pour la Propagation de l’Espéranto e in sèguito aveva pubblicato una grammatica di esperanto in francese. Il Comitato (in cui in realtà soltanto i due animatori, Couturat e Leau, avevano voce in capitolo), scelse l’esperanto come il progetto più adatto, ma richiese un certo numero di modifiche, fra cui l’eliminazione dell’accusativo e delle lettere estranee all’alfabeto latino. Con stupore di Zamenhof, de Beaufront si dichiarò favorevole alle modifiche proposte, che avrebbero dovuto essere approvate dal Comitato Linguistico eletto a Boulogne; alle proteste di altri autorevoli esponenti del movimento esperantista (soprattutto francese), de Beaufront uscì allo scoperto e ammise di essere lui l’autore del progetto fondato su queste modifiche, a cui diede il nome di “Ido”,  cioè “figlio, discendente”, che da una parte riconosceva un diritto di primogenitura all’esperanto, dall’altra conteneva una richiesta esplicita al movimento esperantista perché accettasse le modifiche proposte, che tuttavia modificavano il “Fundamento”. Quello che Couturat, e anche de Beaufront, avevano sottovalutato era il fatto che gli esperantisti, i quali nel 1908 si apprestavano a incontrarsi nel loro 4° congresso mondiale, consideravano l‘esperanto come parte del proprio patrimonio linguistico, che non poteva essere alterato a piacimento da un Comitato, per quanto autorevole fosse (e peraltro la cosiddetta Delegazione non aveva nessun riconoscimento ufficiale). De Beaufront, che si era dichiarato l’autore dell’Ido, venne quindi considerato un apostata,e  pochissimi esperantisti lo seguirono nella nuova impresa.

Guardando le cose da una prospettiva storica, possiamo dire che in de Beaufront era presente la preoccupazione che la diffusione dell’esperanto non fosse così veloce come nei  desideri iniziali a causa di alcuni difetti che avrebbero potuto renderlo poco accettabile, e che bastasse rimuovere tali difetti per avere il cammino spianato verso riconoscimenti più ampi: di qui secondo lui (e Couturat) l’esigenza di avvicinarlo di più alle lingue dell’occidente europeo. Se vogliamo tradurre questa sensazione in quanto abbiamo visto nelle schede più recenti, possiamo dire che la motivazione dei primi aderenti all’Ido era di carattere “finvenkista”, in quanto ritenevano che la rimozione di (presunte) barriere alla diffusione valesse bene una modifica strutturale alla lingua stessa, mentre la netta maggioranza degli esperantisti si era espressa in maniera “raumista”: l’esperanto funziona così come è per quelli che lo vogliono usare.

Vale la pena ancora di vedere la conclusione della storia. Benché de Beaufront si fosse presa la responsabilità della paternità dell’Ido, ricerche successive hanno dimostrato che in realtà il vero autore era stato Couturat (che non l’aveva reso noto per quello che oggi definiremmo un palese conflitto d’interessi), e che il contributo del primo era stato soltanto marginale. Inoltre, il suo cognome, che non aveva mai usato come pseudonimo ma come se fosse quello vero, e anche il titolo di marchese, erano stati una sua invenzione, a cui tutti in quell’epoca avevano creduto; sulla sua tomba (morì nel 1935) è inciso il suo vero nome, Louis Chevreux.

Il movimento idista continua tuttora, con scarso sèguito. Qualche accenno all’Ido si trova nella poesia esperantista: Raymond Schwartz termina una sua poesia, basata su un gioco di parole in esperanto, dicendo che il protagonista di questo gioco aveva poi lasciato l’esperanto per l’Ido, perché in questa lingua i giochi di parole non sono possibili; Marjorie Boulton termina una sua poesia in cui rifiuta il ritorno all’infanzia come una prospettiva desiderabile dicendo “laŭ persona fido / estas pli bone esti esperanto / ol ido”, cioè “credete a me, è meglio essere una persona che spera  piuttosto che un bambinello”, con un gioco di parole sul significato letterale di esperanto e di ido.

Per ulteriori approfondimenti e bibliografia si rimanda a Wikipedia e al sito ufficiale dell'Ido.


A proposito di scismi e apostasie: Kiam fratoj batalas, fremdulo ne eniĝu [847] : “Quando i fratelli combattono, non s’intrometta un estraneo” (o, in altri termini, “tra moglie e marito non mettere il dito”).





 

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